Vivere è un’impossibilità collettiva
Climax
[…] È sabato sera, e questo è un lago. Potevo andare dappertutto, ma eccomi qui. Un uomo al cospetto di un lago: scena già vista, tipizzata dall’arte pittorica. Con la luna che sgocciola ossessiva sulle acque cioccolata fondente e i filamenti nervosi (chiamiamoli così) della vegetazione, sottili e assolutamente neri in controluce, che si piegano dalle rive a strapiombo. L’aria paralizzata, la soppressione di cause ed effetti. Nientemeno che uno stallo. Solo di tanto in tanto sfilano ombre indistinte, forse nutrie, anatre, svolazzi di pipistrelli. Solo di rado una stella nell’angolo in alto a destra del parabrezza, per millesimi di secondo, sembra pulsare più ansiosa delle altre. Tentativi fiacchi, in ogni caso. Non smuovono niente di niente.
La scoperta arriva dritta dal passato. C’è stato un tempo di corse da queste parti, mentre afosi pomeriggi sfumavano in stordite veglie di cicale. Un tempo, nell’omertà collettiva, già gonfio di dati, di educazione all’assenza, di scissioni. Le corse erano tenaci routine di muscoli giovani e fiato allenato che attraversavano i paesini dietro al Pinocchio e spesso deviavano verso l’argine pedonale del bacino, lo sterrato punteggiato di duri ceppi d’erba che percorrevo in tutta la sua ellitticità prima di far ritorno sulla strada maestra. Scovai la nicchia uno di quei giorni, per caso, scendendo dal terrapieno per una pisciata. Uno squarcio tra gli arbusti, dietro l’imporsi di un faggio guardiano, largo sei o sette passi a dir tanto. Una spiaggetta scoscesa che portava a un nugolo di cannucce di palude affioranti dalla battigia. Presi a sostarvi, ogni volta. Sempre più a lungo. Le natiche sudate sulla terra secca, il lettore mp3 zittito, contemplavo il lago – a sinistra la manipolazione umana, sulla destra, rasente l’Arno, un’anomia verde insaturo – e i variegati chilometri fino al Serra, sul lato opposto, e al sole che gli franava alle spalle in uno spasmo di tempera. Buttare via minuti, se non ore. Buttarli via. Procrastinare qualcosa. Mentre l’insinuazione saliva pian piano dal profondo ergendosi a pensiero lucido, una certezza mai affrontata: […]
Poi tutto è finito, senza motivo, asfissiato come mille cose – dalla frenesia, dai ginocchi rotti. Finché stasera lo spettro non ha impugnato il volante spingendo la macchina verso la meta perseguita. Opacità di una strategia svanita giusto l’attimo del lamento basso e dentellato del freno a mano, ben tirato – al riconoscimento posteriore di uno spazio, alla sua significazione. Sono uscito verso le venti, questo è appurato, l’ho deciso io. Ho spento il PC e pure la televisione di sottofondo, che parlava ancora delle tre vittime dell’[…] e infine, una decina di minuti dopo, miracoli del teletrasporto, mi sono ritrovato qui. Un uomo che guarda un lago, sì. Scena semplice su cui sto insistendo fin troppo, me ne rendo conto, eppure, evidentemente, con una vaga salienza – altrimenti sarei altrove. Un uomo e un lago. Una coscienza e la natura circostante. La natura che, se la mettiamo nei termini giusti, scruta se stessa. Fa parte del novero di quelle immagini, sapete. Che riecheggiano dentro inspiegate. Una volta il […] mi raccontò che non riusciva a levarsi di dosso la visione di qualcuno che, di notte, penetra nella casa dei suoi per ucciderli a coltellate, con lui che, adulto e ben messo fisicamente, osserva la scena impaurito da sotto il letto matrimoniale. Come pure l’[…], meno emotivo: un pallone aerostatico che si schianta da qualche parte nella campagna samminiatese. Un uomo e un lago, la mia. Meno cinematografica, con un preciso referente nel reale. Se non credessi che Jung fosse perlopiù un cialtrone lo tirerei in ballo adesso, magari a sproposito, per darmi un tono. Immagini radicate, intendo – calli sinaptici. Immagini attorno a cui per qualche ragione si organizzano romanzi, che mettono in moto ossidati processi essenziali e poi – se il romanzo comincia a camminare con le proprie gambe – vengono sotterrate dalle stratificazioni della narrazione. Un uomo, recluso nella macchina inclinata (questa è la novità), e un lago. Né mediazioni né diversivi. Forse, al contrario di quanto sostenuto da principio, elemento non così frequente nella storia dell’arte. Ma ormai è andata […]