Slow Learner – Tuber Magnatum (2023, Sony Music)

DALL·E 2023-12-04 10.47.04 - copertina di the age of white truffle da parte della band rock chiamata midnight serenade

Voto: 7,5
Genere: art rock, progressive metal, folk

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Attesa lunga, frustrante. Anni e anni di gavetta. Sessioni di prove in scantinati umidicci e garage dall’acustica deprimente. Registrazioni amatoriali. Concertini qua e là per il centro Toscana. Bootleg pubblicati su Myspace e Youtube e Soundcloud – gemme semisconosciute come Unplugged at Decris o Live at The Alchemist 2009. Lo status ineluttabile di band di culto, sotterranea. Il fascino della clandestinità, dei samizdat, del passaparola tra appassionati. Quella roba lì, insomma. Ci siamo capiti. Bravi, bravissimi, addirittura eccezionali. Ma per pochi. Destinati a rimanere tali. A non fare breccia nel grande pubblico. A non sfondare mai.

Poi una major si accorge di loro. Ascolta l’ultimo demo e lo apprezza. Propone di lavorarci sopra, di smussarlo, di trasformarlo in album. Li mette sotto contratto. Succede un annetto fa. E tutto cambia, per i trentenni samminiatesi Slow Learner. Da un giorno all’altro.

Tuber magnatum, prodotto e mixato da Ted Imbruglia (Ministry, Creed, Lankum) e registrato presso i Trident Studios di Londra, è un lavoro lungo e sfaccettato. Sviluppa tutte le migliori idee degli anni precedenti, non presenta fasi di stanca ed è tecnicamente superbo – fatto che se si conosce un minimo la meticolosità e la perizia strumentale degli Slow Learner non dovrebbe sorprendere. A livello di testi, non li si accusi di scarsa originalità, la band ha messo in piedi una sorta di concept sul tema del tartufo bianco, il pregiato fungo ipogeo diffuso nelle terre attorno a San Miniato (PI).

Ad aprire le danze ci pensa Il sentiero, brano dall’atmosfera bucolica – chitarre acustiche, xilofono – che si trasforma in un mid-tempo tutto sommato elementare ma di buon impatto. Per suoni e riff può rinviare alla produzione dei Savatage di Edge of thorns, volendo, ma la sezione ritmica Taddei-Pertici sciorina raffinatezze impensabili per l’ensemble statunitense. Il ritornello, di un’amarezza proustiana, implora: Non tornerò più / Non troverò la cura / Ti prego ti prego / Conserva intatta quella radura. Se Il sentiero è una discreta opener ma nulla più, con Albeggiare siamo invece già alle prese con uno degli zenit dell’intero album. In dieci minuti succede qualsiasi cosa. Chitarre nu-metal si avvicendano con arpeggi acustici di estrema pulizia, fanno capolino cori femminili, compaiono armonizzazioni, passaggi di flauto, assoli elettrici, acuti ultrasonici e intermezzi di solo narrato. Si tratta di una canzone destrutturata che parla di una coppia di fratelli che trascorre un’intera notte a giocare a un videogame. Scopo del gioco: perlustrare un bosco immenso evitando i pericoli (cinghiali, lupi, serpenti) per collezionare più tartufi bianchi possibile (bisogna scavare a mani nude laddove si crede, in base a certi indizi, possa trovarsene uno). Il terzo pezzo si chiama Avvallamenti e flirta con la similitudine tra la ricerca del tartufo e l’umana ricerca della felicità. L’impalcatura appare più classica rispetto ad Albeggiare, ma gli Slow Learner rendono l’insieme lo stesso fresco e accattivante e seminano preziosismi a profusione, svelti ricami di chitarra, tempi dispari, effetti elettronici di gusto sopraffino. Ma è soprattutto Julio Turrio a fare la differenza, sciorinando l’ampio repertorio in suo possesso: il sentimento, la teatralità, l’invidiabile estensione alla John De Leo (Avanti o indietro / avanti o indietro / in trappola nel bosco tetro recita un refrain perfetto per esser cantato dal vivo). Dopo un trittico tanto sismico piomba, puntualissima, la ballata. Non poteva essere altrimenti. Comete come te è un lento acustico che parla di una storia d’amore cominciata con una cena romantica a base di tartufo bianco. Rammenta mille cose, i Pooh di Parsifal, gli Yes, Nick Drake, i Pearl Jam e così via, eppure nei suoi tre minuti e mezzo denota ugualmente una personalità spiccata. Barzilli che si cimenta in arpeggi zeppeliniani, la voce di Turrio calda e avvolgente, Lucia Taddei raffinatissima al basso fretless, Nico Pertici leggero come una piuma sul ride, il fratello Franco al piano perfetto nel colorare l’atmosfera con manciate di note – brano minimale e orecchiabile, dalle enormi potenzialità radiofoniche. Balto è una traccia progressive metal alla Fates Warning incentrata sulla leggenda tutta samminiatese di un lagotto romagnolo vissuto decenni fa eccezionale nel fiutare tartufi, mentre Le stelle del Messico narra di nostalgia, di rimembranza, di un’infanzia perduta caratterizzata da piatti e piatti di tagliatelle al tartufo della nonna (Nell’insondabile me / laddove non esisto più / poter tornare là / solo un minuto / poter riassaggiare quel tartufo). La canzone si dimostra un vero e proprio tour de force, una mastodontica sinfonia fitta di cambi di umore e di tempo, ed è divisa in due parti ben distinte dai tre minuti solisti di un Barzilli smagliante, prima evocativo e struggente e poi frenetico sulla sei corde. Il disco – disponibile su tutte le piattaforme streaming – si chiude con Odissea, una suite in stile Marillion della durata di ventisette minuti (!) che meriterebbe una recensione a se stante. Un capolavoro, sia detto fuori dai denti. Qualcosa che diverrà punto di riferimento per chiunque vorrà, negli anni a seguire, cimentarsi col genere. Il testo segue la camminata di uomo a partire dalle pendici di San Miniato (zona “Gargozzi”) fino al vecchio ospedale, dall’altra parte della città, in una grigia domenica di novembre, durante la Mostra Mercato del Tartufo Bianco. L’uomo, debole e affamato, deve destreggiarsi tra i vari ristoranti, tra le bancarelle, tra le offerte, gli assaggi, i crostini, i grissini, le bruschette, i piatti fumanti, i tagliolini, i ravioli, i paccheri, i profumi inebrianti di tartufo, tirando dritto fino alla meta. Non può mangiare nulla. Turrio – autore di tutte le lyrics – è qui profondamente allusivo, e la passeggiata dell’uomo assume fin da subito un’indefinita sfumatura metaforica, esistenziale. Il pezzo, che a tratti esprime perfino un animo jazz, si conclude con un inquieto tappeto di tastiere che accompagna il protagonista, dopo impensabili peripezie, all’interno della struttura ospedaliera dove verrà misteriosamente ricoverato.

Con Tuber magnatum gli Slow Learner hanno osato, e hanno avuto ragione. Tutta quest’ambizione, quest’ossessione per il dettaglio, questa voglia di rompere le regole e volare altissimi, tutto ciò non può lasciare indifferenti. Provateci. Che altro possiamo dirvi. Provateci. E se non vi piace al primo o al secondo ascolto, riprovateci ancora. Siamo certi che non ve ne pentirete.

Durata 71:55
1-Il sentiero
2-Albeggiare
3-Avvallamenti
4-Comete come te
5-Balto
6-Le stelle del Messico
7-Odissea

Formazione:
Mario Barzilli – chitarra
Lucia Taddei – basso
Nico Pertici – batteria
Franco Pertici – tastiera
Julio Turrio – voce e flauto

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